A cura del Dott. Luca Natalizio
La plasticità del cervello è una delle
più grandi scoperte della neurobiologia. Osserviamo come viene modificato il
nostro cervello in base ai nostri comportamenti. Decine di migliaia di persone
in tutto il mondo devono lasciare il lavoro a causa di un disturbo noto come “infortunio
da logorio ripetuto” (Rsi); a rischio sono coloro che devono eseguire
ripetutamente gli stessi movimenti con le mani e con le braccia centinaia o addirittura
migliaia di volte al giorno. Uno dei pericoli è che l’attivazione costante
degli stessi raggruppamenti di cellule crei una spaventosa rete di connessioni
che può diventare così dominante nella piazza neuronale da spazzar via altri
insiemi di connessioni necessari per altri movimenti. Tutto questo sta a
significare che il nostro cervello è modellato dal lavoro che facciamo.
Dagli studi effettuati emerge inoltre che l’esercizio mentale possa veramente scolpire il cervello allo stesso modo di quello fisico. In altre parole, immaginare mentalmente un movimento attiva pressoché lo stesso macchinario cerebrale di quando ci si prepara a compierlo; sembra dunque che le due azioni non siano molto differenti tra loro, almeno per quanto riguarda il cervello. Solo nella fase finale – istruire i relativi muscoli sul cosa fare e quando – il cervello chiama all’opera altri centri che non sono implicati nella semplice immaginazione. Nel nostro cervello, sembra che la sola stimolazione passiva dei circuiti cerebrali non sia sufficiente a scolpirlo; perché gli stimoli modifichino il cervello occorre prestare attenzione alla particolare esperienza che stiamo vivendo. La nostra capacità di ritagliare una piccola parte d’informazione su cui concentrare la nostra attenzione dipende da zone ben specifiche del cervello, in particolare la parte anteriore – i lobi frontali. I lobi frontali possono aprire o chiudere il passaggio all’informazione sensoriale sin dal suo primissimo ingresso nel cervello. Dedicare la propria attenzione a un senso riduce l’attività nelle zone cerebrali responsabili degli altri.
Dagli studi effettuati emerge inoltre che l’esercizio mentale possa veramente scolpire il cervello allo stesso modo di quello fisico. In altre parole, immaginare mentalmente un movimento attiva pressoché lo stesso macchinario cerebrale di quando ci si prepara a compierlo; sembra dunque che le due azioni non siano molto differenti tra loro, almeno per quanto riguarda il cervello. Solo nella fase finale – istruire i relativi muscoli sul cosa fare e quando – il cervello chiama all’opera altri centri che non sono implicati nella semplice immaginazione. Nel nostro cervello, sembra che la sola stimolazione passiva dei circuiti cerebrali non sia sufficiente a scolpirlo; perché gli stimoli modifichino il cervello occorre prestare attenzione alla particolare esperienza che stiamo vivendo. La nostra capacità di ritagliare una piccola parte d’informazione su cui concentrare la nostra attenzione dipende da zone ben specifiche del cervello, in particolare la parte anteriore – i lobi frontali. I lobi frontali possono aprire o chiudere il passaggio all’informazione sensoriale sin dal suo primissimo ingresso nel cervello. Dedicare la propria attenzione a un senso riduce l’attività nelle zone cerebrali responsabili degli altri.
Questo è il motivo per cui, ad
esempio, se siete immersi nella lettura di un libro di potreste non sentire che qualcuno vi sta
parlando. Tutto questo indica che l’attenzione può scolpire l’attività
cerebrale alzando o abbassando la frequenza di attivazione di questo o quel
sistema di sinapsi; poiché l’attivazione ripetuta di un gruppo di sinapsi
facilita la crescita e il consolidamento della rete neuronale, ne segue che
l’attenzione è un ingrediente importante per la scultura cerebrale. Questo non
dovrebbe sorprendere particolarmente, a questo punto, alla luce di ciò che
sappiamo su come l’esercizio mentale condiziona il cervello: l’allenamento
mentale, dopo tutto, ha in parte a che fare con l’essere in grado di prestare
attenzione a delle immagini. L’istruzione e l’esperienza possono cambiare
attivamente la struttura del cervello. Un sistema di cellule cerebrali più
intricato dovrebbe essere in grado di recuperare meglio, se danneggiato,
rispetto ad una rete neuronale meno densa in quanto più sono le cellule
cerebrali che si sono legate tra loro attivandosi ripetutamente insieme, più è
probabile che il patrimonio di capacità e ricordi fissati su tali connessioni
possa essere recuperato. Il patrimonio di conoscenze e di capacità di un
individuo può essere recuperato usando il metodo di scultura cerebrale più
appropriato al caso specifico, anche quando alcune delle cellule vengono a
mancare. Ovviamente, se un’intera porzione di materia cerebrale va perduta, la
rete neuronale potrebbe uscirne così gravemente danneggiata da rendere vano
qualunque tentativo di soccorso, fosse anche a opera della più mirata delle
operazioni di scultura cerebrale. Alcuni studi mostrano come parti del cervello
in prossimità di aree che abbiano subito un danno siano in grado di prestare
aiuto nelle faccende quotidiane precedentemente sbrigate dai loro vicini. Ecco
dunque la scultura cerebrale all’opera – la ristrutturazione su larga scala del
sistema di connessioni neuronali. Lo stress, se acuto o prolungato, può
indurre un restringimento dei neuroni nell’ippocampo. Questi, di solito,
tornano alla loro forma originaria una volta rimossa la causa di stress, ma a
volte le fibre che connettono le cellule tra loro – i dendriti – possono essere
danneggiate dallo stress in modo permanente. Gli effetti distruttivi dello
stress sul cervello possono compromettere il potenziale d’apprendimento dei
bambini cresciuti in ambienti difficili e impedire lo sviluppo armonioso della
loro intelligenza. I bambini
che vengono trascurati o che subiscono abusi, ad esempio, tendono ad avere un cervello sviluppato in modo anormale.
Lo sviluppo del cervello
Infanzia: Ciò che realmente
conta nel contribuire allo sviluppo cerebrale di un bambino non è quanta
stimolazione gli viene offerta: potete parlare a un bambino per tutto il tempo
che volete, o fare in modo che altri adulti gli parlino, senza che questi
tragga alcun beneficio da questa stimolazione linguistica non mirata. Ciò che conta, invece, è come gli adulti adattano quel che dicono alle parole e
alle azioni del bambino, come dimostrato dalle informazioni che possediamo sulla
natura degli stimoli che favoriscono la crescita delle reti neuronali. Quando
l’adulto attento prende parte ai tentativi del bambino di usare parole per
descrivere il mondo, contribuisce a rinforzare la fragile rete sinaptica che
lega l’oggetto visto all’etichetta verbale richiamata in memoria. Il processo
di apprendimento comincia di fatto nel grembo materno: il neonato, non appena
viene al mondo, mostra di preferire la voce di sua madre a quella di altre presone; il bambino,
infatti, ha ascoltato la voce della mamma per diversi mesi prima della nascita.
L’apprendimento comincia dunque molto precocemente, e con esso la connessione
della materia cerebrale a opera dell’esperienza. Ma il grado di evoluzione del linguaggio, e dunque di altre funzioni
mentali più in generale, sembra dipenda
dal modo in cui i genitori – e le madri in particolare – scelgono i milioni di
piccoli esercizi di formazione del cervello necessari per allevare un bambino.
I governi, la società, le scuole e i genitori possono fare davvero molto per
influenzare il cervello dei bambini. I bambini privati di alcune, se non molte,
delle innumerevoli occasioni d’apprendimento offerte dalla famiglia e dalla
scuola possiedono di conseguenza scarse capacità intellettive. È la povertà una
delle cause principali per cui i bambini possono rimanere privi di tali
esperienze. Naturalmente, anche altri fattori legati alla mancanza di mezzi –
un’alimentazione sbagliata, scarse prospettive e altri ancora – possono
limitare il corretto funzionamento del cervello.
Età senile: Il cervello
incomincia a restringersi intorno ai cinquant’anni. Sembra che l’età colpisca
in particolare le fibre connettive del cervello, la cosiddetta “materia
bianca”. A questa brutta notizia si aggiunge la considerazione che i lobi
frontali, una parte del cervello d’importanza capitale, sono più soggetti di
altre aree agli effetti devastanti dell’invecchiamento. È risaputo che le
persone anziane non hanno problemi a ricordare eventi di molti anni prima.
Questo capita perché l’apparato della memoria che assimila nuovi eventi è in
qualche modo separato da quelle parti del cervello in cui sono immagazzinati i
ricordi a essi collegati; e i circuiti alla base della memoria degli eventi
recenti – localizzati in parte in un’area dl cervello nota come “ippocampo” –
sono più vulnerabili agli effetti dell’età dei centri di raccolta dei ricordi,
posti nell’area cerebrale nota come “corteccia temporale laterale”. L’età porta
con sé anche una certa facilità a lasciarsi distrarre. Questo è un problema di
“inibizione”, in cui l’attività di un set di neuroni sopprime l’attivazione di
un altro insieme di cellule cerebrali. Nonostante possa creare problemi in un
cervello che sta cercando di riparare se stesso in seguito a un danno, di fatto
tale inibizione ci permette di funzionare correttamente nel mondo. Dobbiamo
assolutamente essere in grado d’inibire i miliardi di dati inutili che arrivano
ai nostri sensi, per poterci concentrare sui frammenti d’informazione che sono
cruciali in un particolare istante. Un individuo più anziano può avere più
successo di uno giovane nel risolvere alcuni tipi di problemi in cui contano
l’esperienza e la competenza, mentre è sicuramente meno bravo a risolvere
problemi del tutto nuovi o astratti per i quali non può far tesoro di
esperienze passate. Questo tipo di abilità innata
a escogitare soluzioni è da alcuni chiamata “intelligenza fluida”: si
basa molto poco sull’esperienza passata in merito a situazioni specifiche, ma
dipende piuttosto dalla capacità di districarsi in una condizione completamente
astratta e non familiare. “L’intelligenza cristallizzata”, all’opposto,
è basata sostanzialmente sul bagaglio di conoscenza e apprendimento acquisiti
nel corso della vita – ad esempio la conoscenza generale, la terminologia e l’esperienza
specifica nel risolvere particolari tipi di problemi. Come già detto, anche il
cervello sembra trarre giovamento dall’esercizio fisico: gli anziani che si
mantengono in forma hanno tempi di reazione più brevi rispetto agli altri.
L’esercizio fisico potrebbe agire sul funzionamento cerebrale stimolando la
secrezione di “neurotrofine” – sostanze che favoriscono lo sviluppo dei
neuroni. In altre parole, una ragione per cui le persone anziane sono in certi
casi migliori mentalmente rispetto ai più giovani può essere che le loro
facoltà mentali sono state stimolate più frequentemente in un arco di tempo più
lungo. Esiste quindi la possibilità che non solo il motto se non lo usi, lo perdi sia vero, ma
che lo sia anche se lo usi, lo
migliori. La scultura cerebrale sopra i cinquant’anni è quindi non solo
possibile, ma anche desiderabile e prevedibile. Tenere in allenamento la mente,
ossia potenziarne la funzionalità attraverso continue sfide al cervello, può
diventare più importante via via che s’invecchia.
Modifichiamo il nostro cervello
Il trauma e lo stress cambiano il
cervello; anche le persone hanno lo stesso potere, ogni ora di ogni giorno, con
i propri pensieri e azioni. Gli alti e bassi possono renderci ottimisti e
liberi da preoccupazioni oggi, apatici, pessimisti e negativi su noi stessi
domani. I cambiamenti d’umore vanno di pari passo con le variazioni
nell’attività cerebrale, e viceversa; si cambia il proprio cervello tanto
quanto esso cambia noi. L’attività cerebrale varia in maniera significativa,
particolarmente nei lobi frontali, e quando il cervello reagisce in questo modo
in funzione dell’umore, non è soltanto il modo in cui ci si sente a cambiare;
l’intero funzionamento del cervello viene alterato. Quando si è di buon umore,
ad esempio, di fatto si riesce meglio a risolvere problemi teorici e pratici.
Se l’attività nei lobi frontali del cervello cambia con l’umore, anche la
capacità di pensare cambia di conseguenza. Il successo nella vita dipende dal
sapere esattamente quando e come esprimere le nostre emozioni, e talvolta dal
persistere, nonostante le difficoltà, anche quando i cervello emotivo ci spinge
a fermarci. Senza questa capacità di regolare e, talvolta, dominare le nostre
emozioni, corriamo il pericolo d’essere condannati a una vita di vuota
insoddisfazione e di inquietudine emotiva. Imparare a controllare gli impulsi e
le emozioni è fondamentale per la stabilità emotiva di una persona: se il
cervello non è stato educato, ad esempio, a soffocare la rabbia o a controllare
la paura, sarà inevitabile finire preda di queste emozioni nella vita di tutti
i giorni. Più in generale, l’ambiente emotivo delle famiglie forma il cervello
emotivo dei bambini. Le famiglie possono dunque modellare le reti neuronali dei
loro figli controllandone le emozioni: questo fatto ha purtroppo un risvolto
negativo particolarmente drammatico nei casi di abuso. Ecco che, se le
privazioni e la negligenza possono provocare un restringimento delle reti
neuronali e un inaridimento delle facoltà mentali ed emotive, tali perdite
possono, almeno in parte, essere recuperate con la stimolazione, l’attenzione e
– cosa più importante – l’amore.
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