mercoledì 16 gennaio 2013

Conoscere la dislessia



La dislessia evolutiva (DE), definita come uno specifico disordine nella capacità di lettura in soggetti con intelligenza normale, che hanno ricevuto unistruzione adeguata, e che non soffrono di alcun manifesto deficit sensoriale o neurologico tali da giustificare il disturbo. La dislessia consiste in un deficit nellautomatizzazione delle procedure di transcodifica dei segni scritti in corrispondenti fonologici ed emerge allinizio o nel corso del processo di scolarizzazione.

Una semplice verifica che può essere fatta è quella di misurare il livello di lettura del soggetto (accuratezza e velocità) rispetto ad altri bambini coetanei con il medesimo livello di istruzione.
Se si dovessero riscontrare sensibili differenze è possibile avvalersi di esperti che sono in grado di misurare, attraverso test standardizzati,  il cosiddetto livello di lettura che nel caso di DE si situa sostanzialmente al di sotto di quanto ci si aspetterebbe data letà cronologica del soggetto. E, comunque, opportuno specificare che la DE si differenzia dalla dislessia acquisita ovvero lesito di una lesione o un trauma, e riguarda soggetti che hanno già acquisito la lettura. In termini statistici è emerso che i maschi sono affetti più frequentemente delle femmine, circa 10 volte di più. La condizione è generalmente familiare e vi sono forti evidenze che sia una malattia ereditaria: i bambini che hanno in famiglia un genitore dislessico hanno dal 40% al 60% di possibilità di diventare dislessici (Grigorenko, 2001). Le indagini svolte hanno portato a quantificare tra il 4% ed il 7% il numero dei bambini in età scolare affetti dal disturbo.

La prevalenza della DE differisce comunque fra le varie lingue, per esempio essendo più alta nellinglese che in italiano. Ciò è dovuto alle diverse caratteristiche ortografiche dei due linguaggi (opaca nella prima, trasparente nella seconda). La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a difficoltà nella scrittura e nell'ortografia (disgrafia e disortografia), nel calcolo (discalculia) e, talvolta, anche in altre attività mentali.

Purtroppo il disturbo dislessico non si esaurisce nelletà scolare, ma permane per tutta la vita anche se occorre far notare che esso cambia espressività nelle diverse fasi dello sviluppo.
Ad esempio nelle prime fasi, caratteristica è la sua pervasività, ossia la sua diffusione nelle tre aree: lettura, scrittura e calcolo. La difficoltà sembra riguardare i processi di decodifica in generale (segni scritti, linguaggio verbale e aritmetico).

Per quanto riguarda levoluzione dei sintomi in sè variano, tuttavia,  fortemente da individuo a individuo: la maggior parte dei dislessici diagnosticati in età infantile permangono tali durante tutta la vita e le loro competenze di lettura e/o ortografiche rimangono carenti rispetto agli adulti non dislessici (Pennington & al., 1990).
Inoltre, è emerso dallanalisi di numerosi casi che vi sono alcuni adulti con una chiara storia di dislessia da bambini, che non sono diagnosticabili come dislessici in età adulta, chiamati dislessici compensati (Lefly & Pennington, 1991). I dislessici compensati sono dei lettori più lenti, ciò riflette forse un qualche sottile deficit fonologico che interessa la velocità di lettura. I tassi di compensazione tra i diversi studi sono molto simili, tra il 22-25 per cento, le femmine sono maggiormente in grado di compensare rispetto ai maschi (Scarborough, 1984; Lefly & Pennington, 1991; Felton & al., 1990). Chiaramente, la compensazione può abolire in larga misura la disabilità.
Per ovviare a questo problema importante è dimostrare comprensione per i problemi manifestati per il bambino, non colpevolizzarlo o accusarlo di pigrizia o svogliatezza. Non appena diagnosticato il disturbo, è opportuno effettuare un tempestivo intervento riabilitativo, che può promuoverne la compensazione  e consentirne unevoluzione favorevole. È importante che sia la classe sia il corpo docente siano ben informati della problematica in modo tale da poter limitare limpatto emotivo che il disturbo può avere sul bambino e la sua capacità di apprendimento.
 

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