A cura della Dott.ssa Corinna Mazzillo
La dislessia evolutiva
(DE), definita come uno specifico disordine nella capacità di lettura in soggetti con intelligenza
normale, che hanno ricevuto un’istruzione adeguata, e che non soffrono di alcun
manifesto deficit sensoriale o neurologico tali da giustificare il disturbo. La
dislessia consiste in un deficit nell’automatizzazione delle procedure di transcodifica dei
segni scritti in corrispondenti fonologici ed emerge all’inizio o nel corso del processo di
scolarizzazione.
Una semplice verifica che
può
essere fatta è
quella di misurare il livello di lettura del soggetto (accuratezza e velocità) rispetto ad altri bambini coetanei con il
medesimo livello di istruzione.
Se si dovessero
riscontrare sensibili differenze è possibile avvalersi di esperti che sono in grado di
misurare, attraverso test standardizzati,
il cosiddetto livello di lettura che nel caso di DE si situa
sostanzialmente al di sotto di quanto ci si aspetterebbe data l’età cronologica del soggetto. E’, comunque, opportuno specificare che la DE
si differenzia dalla dislessia acquisita ovvero l’esito di una lesione o un trauma, e riguarda
soggetti che hanno già acquisito la lettura. In termini statistici è emerso che i maschi sono affetti più frequentemente delle femmine, circa 10 volte
di più. La
condizione è
generalmente familiare e vi sono forti evidenze che sia una malattia
ereditaria: i bambini che hanno in famiglia un genitore dislessico hanno dal
40% al 60% di possibilità di diventare dislessici (Grigorenko, 2001). Le indagini
svolte hanno portato a quantificare tra il 4% ed il 7% il numero dei bambini in
età
scolare affetti dal disturbo.
La prevalenza della DE
differisce comunque fra le varie lingue, per esempio essendo più alta nell’inglese che in italiano. Ciò è dovuto alle diverse caratteristiche ortografiche dei due
linguaggi (opaca nella prima, trasparente nella seconda). La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a
difficoltà
nella scrittura e nell'ortografia (disgrafia e disortografia), nel calcolo
(discalculia) e, talvolta, anche in altre attività mentali.
Purtroppo il disturbo
dislessico non si esaurisce nell’età scolare, ma permane per tutta la vita anche se occorre
far notare che esso cambia espressività nelle diverse fasi dello sviluppo.
Ad esempio nelle prime
fasi, caratteristica è la sua pervasività, ossia la sua diffusione nelle tre aree: lettura,
scrittura e calcolo. La difficoltà sembra riguardare i processi di decodifica in generale
(segni scritti, linguaggio verbale e aritmetico).
Per quanto riguarda l’evoluzione dei sintomi in sè variano, tuttavia, fortemente da individuo a individuo: la
maggior parte dei dislessici diagnosticati in età infantile permangono tali durante tutta la
vita e le loro competenze di lettura e/o ortografiche rimangono carenti
rispetto agli adulti non dislessici (Pennington & al., 1990).
Inoltre, è emerso dall’analisi di numerosi casi che vi sono alcuni
adulti con una chiara storia di dislessia da bambini, che non sono
diagnosticabili come dislessici in età adulta, chiamati “dislessici compensati” (Lefly & Pennington, 1991). I dislessici
compensati sono dei lettori più lenti, ciò riflette forse un qualche sottile deficit fonologico che
interessa la velocità di lettura. I tassi di compensazione tra i diversi studi
sono molto simili, tra il 22-25 per cento, le femmine sono maggiormente in
grado di compensare rispetto ai maschi (Scarborough, 1984; Lefly &
Pennington, 1991; Felton & al., 1990). Chiaramente, la compensazione può abolire in larga misura la disabilità.
Per ovviare a questo
problema importante è dimostrare comprensione per i problemi manifestati per
il bambino, non colpevolizzarlo o accusarlo di pigrizia o svogliatezza. Non
appena diagnosticato il disturbo, è opportuno effettuare un tempestivo intervento
riabilitativo, che può promuoverne la compensazione e consentirne un’evoluzione favorevole. È importante che sia la classe sia il corpo
docente siano ben informati della problematica in modo tale da poter limitare l’impatto emotivo che il disturbo può avere sul bambino e la sua capacità di apprendimento.
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